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Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda

Autore: A cura di Paola Italia

Editore: Adelphi

Prezzo: 35€

Apparso per la prima volta nel 1955, il Giornale di guerra e di prigionia viene qui proposto in una nuova edizione, arricchita da sei taccuini finora sconosciuti e filologicamente inappuntabile. Le opere di Gadda (1893-1973) sono in corso di pubblicazione presso Adelphi; il titolo più recente è I Luigi di Francia (2021).

La nostra anima stupida, porca, cagna, bastarda, superficiale, asinesca tiene per dignità personale il dire: “io faccio quello che voglio, non ho padroni.” – Questo si chiama fierezza, libertà, dignità. Quando i superiori ti dicono di tosarti perché i pidocchi non ti popolino testa e corpo, tu, italiano ladro, dici: “io non mi toso, sono un uomo libero.” Quando un generale passa in prima linea, come passò Bloise, e si lamenta con ragione delle merde sparse dovunque, tu, italiano escremento, dici che il generale si occupa di merde: (frase da me udita sulle labbra d’un ufficiale).

Se il generale se ne sta a casa sua, dici che è un imboscato, ecc. Abbasso la libertà, abbasso la fierezza, intese in questo senso. Non conosco nulla di più triviale che questi sentimenti da parrucchiere. – Qual è la portata dell’incidente tra Musizza e il Capitano? Questa: che se domani in combattimento il Capitano dicesse a Musizza di avanzare con la sua sezione in luogo esposto, Musizza direbbe: “Ci vada lui a farsi ammazzare: io non ci vado per far piacere a lui”».

Per il sottotenente Gadda, che l’aveva auspicata come « necessaria e santa », la Grande Guerra si rivela uno scontro durissimo. Più ancora che con il nemico, con ciò che scatenava in lui un’indignazione così violenta da sfiorare la « volontà omicida »: la meschinità della « vita pantanosa » di caserma, che spegne ogni aspirazione alla lotta; l’incompetenza dei grandi generali; l’« egotismo cretino dell’italiano » che di tutto fa una questione personale; l’indegnità morale dei vigliacchi, degli imboscati e dei profittatori, che costringevano gli alpini a marciare con scarpe rotte: « se ieri avessi avuto innanzi un fabbricatore di calzature, l’avrei provocato a una rissa, per finirlo a coltellate » confessa. Ma lo scontro più lacerante, e fondatore, è quello che Gadda ingaggia con sé stesso: con l’orrore e la tristezza della solitudine, con un « sistema nervoso » viziato da « una sensitività morbile », con una insufficienza nell’agire che gli impedisce di tradurre in atto i tesori di preparazione tecnica, senso di sacrificio, spirito di disciplina che abitano in lui: « Mi manca l’energia, la severità, la sicurezza di me stesso, proprie dell’uomo che ... agisce, agisce, agisce a furia di spontaneità e di estrinsecazione volitiva ».

La disfatta di Caporetto e la prigionia in Germania peseranno come un macigno sul bilancio della partecipazione di Gadda alla guerra, ma il tempo dimostrerà che l’officina del Giornale – primo sofferto atto di conoscenza del mondo e della propria realtà psichica – segna la nascita del più grande prosatore italiano del Novecento.