Dal 18 luglio al 3 agosto un gruppo di 11 ricercatrici e ricercatori dell’Università di Bologna, dell’Università di Napoli Federico II e del CNR sono coinvolti in un progetto multidisciplinare su carbonio, energia naturale e vita microbica in diverse aree della Mongolia, dove i movimenti delle placche tettoniche hanno portato in superficie rocce del mantello molto profonde e antiche.
Obiettivo della missione è trovare nelle rocce evidenze passate di formazione di fluidi ricchi in idrogeno naturale e carbonio generati a decine di chilometri di profondità all’interno della Terra. Questi fluidi sono sorgenti energetiche importanti per le forme di vita microbica che popolano il sottosuolo e la crosta terrestre per diversi chilometri di profondità e che costituiscono uno degli ecosistemi più grandi del nostro pianeta.
Le rocce del mantello che generano questi fluidi, oltre a supportare le comunità microbiche subsuperficiali, contribuiscono anche al sequestro dell’anidride carbonica tramite la formazione di minerali come i carbonati e la grafite.
Le rocce oggetto di studio si trovano nelle zone desertiche e remote della Mongolia: negli altipiani della regione del Gobi-Altaj, tra 2.500 e 3.500 metri di altitudine, in particolare nel massiccio di Naran e nel distretto di Chandmani. Questi massicci rocciosi raccontano il viaggio che i fluidi profondi hanno fatto risalendo dalle porzioni più profonde della litosfera fino a raggiungere quelle dove la vita microbica può sopravvivere. Lo studio offrirà indicazioni su come utilizzare queste rocce per il sequestro mineralogico dell’anidride carbonica atmosferica.
La missione è coordinata dal professor Alberto Vitale Brovarone del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, con il progetto DeepSeep, finanziato dal Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC), e in collaborazione con il progetto ERC CoEvolve, coordinato dal professor Donato Giovannelli del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. La missione vede il coinvolgimento dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) del CNR.