Dal lavoro di collaborazione con UGIS Unione Giornalisti Italiani Scientifici per l'edizione 2022, questo articolo è stato originariamente pubblicato sulla pagina web UGIS dedicata. L'autrice è Silvia Pizzirani, Dottoressa di ricerca in Storie, Culture e Politiche del Globale
Usiamo ogni giorno parole come consumo, diritto, ambientalismo, soprattutto in un'epoca in cui dobbiamo far fronte a nuove e urgenti responsabilità legate, ad esempio, ai cambiamenti climatici. Tuttavia, spesso diamo per scontato il significato di queste parole e accettiamo il ruolo che pensiamo di dover sostenere in quanto cittadini-consumatori e cittadine-consumatrici. In verità, se si esplora la cultura di massa italiana degli anni Settanta, si può scoprire come certe nostre idee recenti sul consumo, sulla sensibilità ambientale, sull’uso dell’automobile, siano in realtà derivate da processi storici in cui diversi attori e attrici sono intervenuti per portare avanti specifici obiettivi politici ed economici.
Perché proprio gli anni Settanta? Per tanti motivi, in realtà: quel decennio è stato segnato da due crisi energetiche ed economiche, da profonde turbolenze sociali e politiche, da grandi momenti di creatività culturale. È però anche il periodo in cui le questioni ambientali diventarono di interesse pubblico, in cui si fecero importanti scelte di carattere urbanistico e industriale e si posero le basi per la legislazione relativa ai consumatori e ai loro diritti.
Nel nostro immaginario comune, pensiamo che in quegli anni a nessuno interessasse della questione ambientale e questo a volte è stato usato come alibi per giustificare ritardi e scelte politiche ed economiche miopi. In realtà, non solo parte della cultura d’impresa aveva ben presente la rilevanza della questione ambientale, ma anche la cultura di massa fu attraversata da molte sollecitazioni e le risposte furono molte e varie. Ad esempio, riviste femminili come “Grazia” o settimanali politici d’attualità come “L’Europeo” riservavano frequentemente spazio ad articoli relativi all’ecologia.
Le misure di austerità adottate dopo lo scoppio della crisi energetica nell’autunno del 1973, come le “domeniche in bicicletta”, avevano posto le persone di fronte alla possibilità di dover ripensare totalmente lo stile di vita raggiunto negli anni del boom economico e rappresentato da due beni di consumo: la bistecca e l’automobile. Il consumo di entrambi i beni era stato infatti messo in discussione dalla crisi, dal momento che non solo bisognava tagliare il consumo di benzina (a causa dei blocchi posti dai Paesi produttori all’esportazione della materia prima), ma che bisognava anche tagliare le importazioni in generale. La carne rossa era infatti principalmente importata, il che costava molto alla bilancia commerciale italiana dal momento che era diventata uno dei cibi preferiti dagli italiani. Questo anche perché essa per molti italiani, usciti dalla profonda miseria post-bellica da non molti anni, rappresentava “l’America a tavola”.
Era il simbolo di un nuovo stato di benessere. Così anche l’automobile: essa non era solo un mezzo di locomozione ma simboleggiava un nuovo grado di libertà ed emancipazione. Non si trattava quindi di dover rinunciare solo all’uso di due oggetti, ma di dover ripensare la società così come la si era costruita negli ultimi anni. Su questo si giocò uno scontro tanto culturale quanto politico tra diversi interessi in campo, alcuni che, ad esempio, lavorarono per far sì che l’automobile restasse la prima (e a volte l’unica possibile) scelta di mobilità di italiani ed italiane. Questo insieme di interessi andò a influenzare fortemente anche la progettazione urbanistica.
È importante conoscere quel dibattito e il fatto che emersero diverse proposte che guardavano a una società differente da quella che poi si è affermata: una società che si spostava, mangiava, usava energia in modo diverso. Ciò deve aiutarci a capire come molti discorsi che oggi sentiamo sull’inevitabilità dell’uso dell’automobile, sullo sviluppo delle fonti energetiche, e sulla nascita e durata dei nostri stili di vita siano stati determinati storicamente e non esiste nessun tipo di evoluzione naturale che le società devono inseguire per il raggiungimento del “benessere”. La nostra stessa idea di benessere va problematizzata e risignificata, e per questo è fondamentale che cittadini e cittadine abbiano più strumenti a disposizione per mettere in discussione le narrazioni presentate come assolute ma che in realtà hanno una loro radice storica più o meno recente. Radice che bisogna conoscere se si vuole essere consapevoli.
Essere consumatori e consumatrici ha voluto dire, in diversi momenti della storia, mettere più o meno in discussione certi meccanismi sociali e a volte anche proporre soluzioni alternative. Comprendere la storia dei consumi, il nostro ruolo e le nostre possibilità come consumatori e consumatrici e, soprattutto, come cittadini e cittadine è un passo necessario verso una nuova economia globale più responsabile.