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Ripensare l’edilizia residenziale delle periferie è la chiave per la transizione ecologica

Nell'ambito dell'iniziativa @UniboPER/PhD Storytelling, Carlo Costantino, dottore di ricerca in Architettura e Culture del Progetto al Dipartimento di Architettura, racconta come riqualificare energeticamente o demolire e ricostruire il patrimonio edilizio delle periferie per aumentare la qualità dell’abitare e il risparmio energetico


Dal lavoro di collaborazione con UGIS Unione Giornalisti Italiani Scientifici per l'edizione 2022, questo articolo è stato originariamente pubblicato sulla pagina web UGIS dedicata. L'autore è Carlo Costantino, dottore di ricerca in Architettura e Culture del Progetto


Gran parte degli edifici che costituiscono le nostre città sono stati realizzati nel secondo dopoguerra per far fronte a una situazione abitativa emergenziale. Tale condizione era generata dalla necessità di dare un’abitazione salubre alle numerose famiglie meno abbienti, problema storico italiano che ancora era irrisolto in quegli anni, a cui si era sommata l’urgenza di fornire una sistemazione a tutte quelle famiglie che avevano perso la casa a causa delle distruzioni provocate dalla guerra. Queste abitazioni formano, tuttora, gran parte del primo tessuto edilizio periferico al di fuori dei nuclei storici delle nostre città e, essendo stati costruiti in totale assenza di un quadro normativo di riferimento, sono al giorno d’oggi inadeguati dal punto di vista strutturale, energetico e funzionale.

Come indicato dalla direttiva dell’Unione Europea (EPDB, acronimo per "Energy Performance of Building Directive"), case ed edifici rivestono un ruolo di primo piano nella transizione ecologica verso la neutralità climatica del continente. Infatti, nel documento, si imputa agli edifici il 40% di tutta l’energia consumata e il 36% delle emissioni di gas serra; 7 edifici su 10 sono indicati come inefficienti energeticamente per via dello scarso isolamento termico e dei sistemi di riscaldamento a base di combustibili fossili. Rigenerare questo patrimonio edilizio risulta oggi un tema centrale e una sfida impegnativa, considerato che per raggiungere le due tappe verso la decarbonizzazione - 2030 intermedia e 2050 finale - è necessario un tasso di rinnovamento edilizio di almeno il 2% ogni anno. Come potremmo agire in modo efficace per risolvere questo problema e trasformarlo in opportunità a favore del benessere ambientale, fisico ed economico dei cittadini?

Negli ultimi anni, progettisti e amministrazioni si sono poste questa domanda, la cui risposta porta a due strade diametralmente opposte: riqualificare energeticamente gli edifici esistenti o sostituirli con nuovi. Di primo acchito, la prima ipotesi sembrerebbe quella più naturale e sostenibile mentre la seconda potrebbe risultare drastica, eppure, come stanno dimostrando molti studi, tra cui quelli tenuti dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, non è possibile dare una risposta univoca, semplificando un tema così complesso, ma è necessario valutare di caso in caso con un’attenta analisi costi-benefici.

Infatti, la riqualificazione edilizia limitandosi all’installazione di cappotti termici, la sostituzione di infissi e di generatori termici, non riesce in alcun modo a risolvere i problemi strutturali, sismici, di disposizione interna e di carenze legate agli standard abitativi attuali, a meno di interventi pesanti, non sostenibili tecnicamente ed economicamente. Al contrario, la demolizione e ricostruzione alla scala dell’isolato urbano permette di agire a una duplice scala: sia quella della città, permettendo di ripensare i servizi presenti sul territorio in materia di mobilità, community facilities e verde pubblico; che quella edilizia, riuscendo a garantire tutti i requisiti stringenti previsti dalle normative attuali in ambito sismico, di consumi energetici, impiego di fonti rinnovabili e di comfort abitativo.

Inoltre, la ricerca in ambito di applicazione dei princìpi di economia circolare al settore edilizio è ormai abbastanza sviluppata e matura da permetterne l’impiego a questa scala. Questo significa affrontare il tema della costruzione sotto un nuovo punto di vista, legato alla concezione dell’edificio quale oggetto transitorio che possa essere poi smantellato una volta finita la sua funzione. Poter smontare le abitazioni nei singoli materiali che le costituiscono permette di massimizzare il riuso e il riutilizzo delle materie prime, di ridurre al minimo gli sprechi durante le manutenzioni, oltre a garantire una notevole versatilità nel variare le configurazioni interne in base alle necessità degli abitanti, producendo quantità minime di rifiuti. Alla luce di queste considerazioni e, pensando che gli edifici esistenti prima o poi andranno sostituiti, appare evidente che dovremmo iniziare a pianificare in un’ottica di lungo periodo senza cercare soluzioni temporanee che non affrontano il problema alla radice e lo rimandano nel tempo.

Facendo un’attenta analisi costi-benefici, in contesti abbastanza estesi e densi, come gli isolati urbani delle grandi città, la demolizione e ricostruzione risulta essere una via percorribile sia tecnicamente che economicamente, ma soprattutto permette di rispondere in maniera ottimale in termini di riduzione dei consumi energetici, delle emissioni di CO2 e degli altri impatti ambientali, oltre che di aumento della sicurezza sismica e del comfort abitativo, riportando come fine ultimo di un dibattito, squisitamente tecnico, l’uomo.