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In Antartide, alcuni organismi marini sopravvivono grazie a “batteri antigelo” presenti nel loro microbiota

Un gruppo di ricerca italiano ha scoperto per la prima volta, nel Mare di Ross, alcune specie di vermi policheti marini che riescono a sopportare le temperature antartiche grazie a specifiche proteine antigelo prodotte da microrganismi simbionti che convivono all’interno dei loro tessuti


Alcune specie di vermi policheti marini che vivono in Antartide riescono a sopravvivere senza congelare grazie a proteine antigelo che vengono prodotte dai batteri simbionti del loro microbiota. La scoperta – pubblicata su Science Advances – arriva da un gruppo di ricerca italiano che ha realizzato indagini nel Mare di Ross, dove si trova la Stazione Mario Zucchelli, una delle due basi scientifiche italiane in Antartide. I risultati potrebbero aprire la strada ad applicazioni biotecnologiche di crioconservazione.

“Gli esiti di questa ricerca ci suggeriscono l’importanza e la complessità delle dinamiche co-evolutive tra microbiota e ospite”, dice Marco Candela, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “L’evoluzione di piante, animali e anche dell’uomo, così come le risposte adattative all’ambiente e ai suoi cambiamenti, sono da riconsiderare, integrando il microbioma come componente biologica essenziale alla vita”.

In Antartide, l’isolamento geologico e la stabilità delle condizioni climatiche estreme per più di 34 milioni di anni hanno prodotto una serie di strategie uniche di adattamento alle basse temperature marine, costantemente vicine a -2 gradi centigradi. Oggi sappiamo che alcuni pesci sopravvivono in questi ambienti grazie alla produzione di specifiche proteine antigelo, ma molti altri organismi non hanno evoluto la capacità di produrle. Tra questi ci sono anche i vermi policheti marini su cui si sono concentrati gli studiosi.

Per spiegare come questi vermi riescano comunque a resistere all’ambiente antartico, i ricercatori hanno studiato il loro microbiota: l’insieme dei microrganismi che convivono all’interno dei loro tessuti. I risultati hanno messo in luce la presenza di alcuni batteri, mai rilevati finora in altri invertebrati antartici, capaci di produrre particolari proteine che abbassano il punto di congelamento dei liquidi interni e li rendono più fluidi. Proprio queste proteine, prodotte dai batteri, permettono ai vermi policheti che li ospitano di rendere la circolazione del “sangue” più efficiente e una migliore ossigenazione, consentendone l’adattamento alle basse temperature.

“I dati raccolti mostrano una simbiosi evolutiva tra batteri e vermi antartici, che si è instaurata in tempi antichi, da cui traggono vantaggio entrambe le parti”, spiega Candela. “Inoltre, questo studio costituisce un’ulteriore prova che i batteri simbionti presenti nei tessuti degli organismi animali sono essenziali per la loro vita e che hanno evoluto caratteristiche funzionali a complementazione della fisiologia dell’ospite, divenendone parte integrante e consentendone l’adattamento a diverse condizioni ambientali”.

L’attività di ricerca – parte del progetto DEMBAI, finanziato dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) – ha infatti fatto emergere tracce di questi batteri anche nei sedimenti sottosuperficiali del Mare di Moss: elemento che permette di ipotizzare un’antica connessione con i vermi policheti marini.

“I microbi che vivono in simbiosi con animali antartici conferiscono loro dei ‘superpoteri’ per l’adattamento al freddo estremo e per vincere il congelamento”, conferma Cinzia Corinaldesi, professoressa all’Università Politecnica delle Marche, che ha coordinato lo studio. “La scoperta di queste proteine batteriche antigelo, inoltre, apre il campo a nuove applicazioni biotecnologiche, perché ci permette di capire come possiamo usare soluzioni naturali per la crio-protezione”.

Lo studio è stato pubblicato su Science Advances con il titolo “Resistance to freezing conditions of endemic Antarctic polychaetes is enhanced by cryoprotective proteins produced by their microbiome”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Marco Candela, Simone Rampelli, Silvia Turroni e Giorgia Paladino del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, insieme a Erika Esposito e Jessica Fiori del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”.