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Asteroidi e difesa planetaria: su Didymos e Dimorphos anche i massi parlano

Dopo il successo della missione DART, che ha deviato la traiettoria di una coppia di asteroidi, arrivano i risultati dei dati raccolti prima dell'impatto, per capire più da vicino il processo di formazione e il comportamento di questi oggetti spaziali


Immagine ad ala risoluzione di Dimorphos. Il conteggio dei massi e la misura delle loro dimensioni su Dimorphos, e sull’asteroide principale Didymos, ha permesso di comprendere che essi hanno origine da un progenitore comune e che Dimorphos ha ereditato i propri massi dal compagno più grande (Immagine: NASA/Johns Hopkins APL)


Difesa planetaria, detriti spaziali e asteroidi Near-Earth: questo il tema dell’edizione speciale pubblicata da Nature Communications, e nella quale rientra una serie di articoli che analizzano le caratteristiche della coppia di asteroidi Didymos e Dimorphos, osservati da vicino dagli strumenti della sonda DART prima dell’impatto sul secondo dei due, in un primo esperimento di difesa planetaria realizzato da NASA e ASI. Insieme a DART c'era anche LICIACube: un piccolo satellite finanziato e coordinato dell’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato dall’azienda Argotec di Torino, che si è staccato dalla sonda prima dell’impatto e ha seguito gli effetti della collisione.

Dei cinque articoli pubblicati su Nature Communications, due sono a guida INAF e tre vedono la partecipazione di ricercatori del Laboratorio di Radio Scienza ed Esplorazione Planetaria dell’Università di Bologna. Gli articoli a guida italiana si focalizzano sull’analisi delle fratture presenti nei massi dell’asteroide Dimorphos – causate da shock termici fra il giorno e la notte – e sul processo di formazione dei due asteroidi, tramite l’identificazione e l’analisi dei massi sulla loro superficie.

"DART e LICIACube ci hanno permesso di ottenere tantissime informazioni su Didymos e Dimorphos, ma al contempo hanno sollevato tante domande a cui non abbiamo risposta. La completa caratterizzazione dei due asteroidi sarà effettuata dalla missione dell’ESA Hera, che sarà lanciata nell’ottobre del 2024 e raggiungerà gli asteroidi nel dicembre del 2026", afferma Paolo Tortora, professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Bologna, Direttore del CIRI Aerospaziale, e Principal Investigator dell’esperimento di radio scienza di Hera. "L’esperimento di radio scienza permetterà di misurare la massa e i campi di gravità dei due asteroidi e di studiarne l’intera dinamica".

ANAMNESI E STORIA FAMILIARE DI DIDYMOS E DIMORPHOS

Osservare da vicino la superficie di un asteroide e analizzarne la geologia può dire molto sulla sua storia di formazione. Utilizzando le immagini ad alta risoluzione di Didymos e Dimorphos riprese dalla missione della NASA DART pochi istanti prima dello schianto su Dimorphos, gli studiosi hanno identificato tutti i massi visibili sulla superficie dell’asteroide primario Didymos e dell’asteroide secondario Dimorphos, studiando la distribuzione delle dimensioni e collegandola con vari fattori come latitudine, longitudine, pendenza superficiale, accelerazione gravitazionale e insolazione.

"Lo studio della distribuzione in taglia dei massi più grandi di 5 metri su Dimorphos, e di quelli più grandi di 22,8 metri su Didymos, ci ha permesso di dire che questi si sono formati a seguito di un singolo evento di frammentazione – un impatto catastrofico – di un asteroide padre", spiega Maurizio Pajola, ricercatore all’INAF di Padova e primo autore dello studio.

I due corpi sarebbero, secondo i risultati, aggregati di frammenti rocciosi formatisi a seguito della distruzione catastrofica di un unico genitore comune. Scoperta, questa, confermata anche dalle simulazioni di impatti iperveloci svolte in laboratorio, nonché dall’identificazione dei massi più grandi presenti sui due corpi: 16 metri quello su Dimorphos, e 93 metri quello su Didymos, valori che equivalgono a circa un decimo della dimensione dell’asteroide su cui si trovano. Massi così grandi, infatti, non potrebbero essersi formati a seguito di impatti sulle superfici dei due corpi, che sarebbero rimasti disintegrati nello scontro.

L'EREDITÀ DI DIMORPHOS
Due asteroidi, un genitore comune, dunque. Non solo: la distribuzione in taglia dei massi sui due corpi si è rivelata molto simile, cosa che fa pensare che Dimorphos, il più piccolo dei due, in orbita attorno a Didymos, abbia ereditato i propri massi dal compagno. Come? Attraverso il cosiddetto effetto YORP.

"In pratica, mentre un asteroide ruota su sé stesso, la sua superficie viene riscaldata dal Sole e si raffredda in maniera disomogenea, dal momento che la sua geologia è complessa e irregolare", spiega Marco Zannoni, ricercatore al Dipartimento di Ingegneria Industriale e responsabile tecnico delle attività affidate all’Università di Bologna. "Il risultato è che la radiazione termica viene emessa in modo asimmetrico, creando una coppia di reazione che a sua volta può far accelerare o rallentare la rotazione".

Secondo i ricercatori è possibile che in passato Didymos ruotasse più velocemente e che, rallentando a causa dell’effetto YORP, abbia eiettato alcuni massi formando Dimorphos. Scenario, questo, che sarebbe supportato da almeno due evidenze osservative: la prima su Dimorphos, che presenta una distribuzione in taglia simile all’asteroide primario; la seconda su Didymos, che conta una minore densità di massi all’equatore.

a) Mosaico ad alta risoluzione di Dimorphos in cui il riquadro rosa mostra l'area analizzata nell’articolo di Lucchetti et al. (2024); b) Primo piano dell'immagine acquisita 1,818 s prima dell'impatto del DART in cui sono visibili e identificabili le fratture dei massi; c) Fratture dei massi mappate da Lucchetti et al. (2024). Il masso più grande della scena (6,62 m di diametro), Atabaque Saxum, presenta 6 fratture sulla sua superficie (Immagine: NASA/Johns Hopkins APL)


FRATTURE TERMICHE
L’immagine acquisita dallo strumento DRACO (Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical navigation) a bordo di DART poco prima dell’impatto, con la sua risoluzione di 5,5 cm sulla superficie di Dimorphos, ha inoltre permesso di vedere fratture sulle rocce di Dimorphos con lunghezze variabili da 0,4 a 3 metri, secondo quanto riportato nello studio guidato da Alice Lucchetti, ricercatrice all’INAF di Padova.

"Abbiamo mappato manualmente le fratture, misurato la loro lunghezza e orientazione, notando che esse sembrano puntare quasi tutte verso la stessa direzione (nordovest-sudest)", dice Lucchetti. "Un dato indicativo dell’azione dello stress termico su queste rocce. Infatti, se queste fossero causate da frane o impatti, punterebbero tutte in direzioni diverse".

Un modello termofisico ha mostrato che gli stress termici possono effettivamente fratturare le rocce di Dimorphos, in un arco di tempo compreso tra 10mila e 100mila anni. Capire come la fatica termica agisca su piccoli corpi è importante non solo per la conoscenza della formazione ed evoluzione del Sistema Solare, ma anche per la difesa planetaria. Per predire l'efficacia di un impattore cinetico come DART, è fondamentale comprendere il comportamento dei massi sulla superficie dell'asteroide.

L’Università di Bologna è coinvolta nelle missioni DART e Hera con il Laboratorio di Radio Scienza ed Esplorazione Planetaria e con il Laboratorio di Microsatelliti e Microsistemi Spaziali, che svolgono le proprie attività presso il Tecnopolo di Forlì, dove operano ricercatori del CIRI Aerospaziale e del Dipartimento di Ingegneria Industriale.