La città di Tharros vista dagli scavi dell’Alma Mater, attualmente in corso (foto A.C. Fariselli)
I collegamenti genetici tra i Fenici del Levante e le popolazioni puniche del Mediterraneo centrale e occidentale furono più limitati di quanto creduto finora. Lo rivela uno studio pubblicato su Nature e realizzato da un team di ricerca dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Harvard e l’Istituto Max Planck. Analizzando il genoma di 210 individui provenienti da 14 siti archeologici fenici e punici, gli studiosi hanno messo in luce un’origine cosmopolita per i popoli punici.
“Questa indagine ci mostra il Mediterraneo antico come uno spazio dinamico di mobilità, scambi e integrazioni profonde”, dice Elisabetta Cilli, antropologa molecolare al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “È straordinario vedere come l’identità punica sia stata il risultato di un’aggregazione di popolazioni differenti, connesse da una cultura comune senza che questa fosse necessariamente legata a una omogeneità biologica”.
La cultura fenicia, i cui primi indicatori archeologici emergono da città-stato del Levante nell’Età del Bronzo, si diffuse attraverso una vasta rete di scambi marittimi che, dal I millennio a.C., raggiunse le coste di Spagna, Nord Africa, Sicilia e Sardegna. Alla fine del IX secolo a.C., sulle coste dell’attuale Tunisia, nacque la città di Cartagine, fulcro politico ed economico della civiltà punica, che dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. fu protagonista di un’intensa irradiazione autonoma nel Mediterraneo centrale. Nonostante la profonda connessione e continuità culturale tra Fenici e Punici, i nuovi dati paleogenomici raccontano una storia molto più complessa e articolata.
I risultati dello studio genetico sui resti di individui fenici e punici mostrano infatti che le popolazioni puniche erano estremamente eterogenee dal punto di vista genetico, con una prevalenza di ascendenze simili agli odierni siciliani e alle popolazioni egee, unite a significativi apporti nordafricani.
“L’analisi dei resti provenienti dalle necropoli di Tharros, la ‘Cartagine di Sardegna’, conferma il carattere cosmopolita della popolazione, soprattutto nel periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C.”, spiega Anna Chiara Fariselli, professoressa al Dipartimento di Beni Culturali, tra gli autori dello studio. “In particolare, le indagini sui resti osteologici di tombe tardo-puniche della necropoli settentrionale di San Giovanni di Sinis, rinvenuti grazie alla collaborazione tra Università di Bologna e Università di Cagliari, concessionaria del progetto di scavo, mostrano un'ancestralità genomica africana maggioritaria, coerente con le radici cartaginesi della colonia punica, fondata nel VII secolo a.C.”
Lo scavo dell’Università di Bologna svolto nella necropoli di San Giovanni nell’ambito di una collaborazione con l’Università di Cagliari (foto A.C. Fariselli)
Questi risultati smentiscono l’ipotesi di una migrazione di massa di popolazioni levantine e suggeriscono al contrario, per i popoli punici, un'intensa azione di trasmissione culturale e assimilazione locale.
“Le analisi condotte hanno permesso di rivelare la presenza di parentele a distanza, come un caso di cugini di secondo grado, sepolti uno in Nord Africa e uno in Sicilia, a dimostrazione di legami familiari che attraversavano il mare”, conferma la professoressa Donata Luiselli, responsabile del Laboratorio del DNA Antico dell’Alma Mater, tra gli autori dello studio. “Questi dati dimostrano che i contatti interregionali nel Mediterraneo antico erano assai più intensi e capillari di quanto ricostruito finora”.
Alla luce di questi risultati, gli studiosi sottolineano il ruolo fondamentale delle tecnologie di analisi del DNA antico, capaci di rivoluzionare il modo di raccontare il nostro passato.
“Grazie a queste tecnologie possiamo accedere a una prospettiva insostituibile per integrare e arricchire la nostra comprensione delle società antiche”, dice Davide Pettener, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “Solo una consolidata collaborazione internazionale tra genetisti molecolari e archeologi può infatti consentire di chiarire e approfondire la storia genomica delle antiche migrazioni dei popoli del Mediterraneo”.
Lo studio è stato pubblicato su Nature con il titolo “Punic people were genetically diverse with almost no Levantine ancestors”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Elisabetta Cilli, Anna Chiara Fariselli, Francesco Fontani e Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali, insieme a Davide Pettener del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali.