Afghanistan: la legge che non c’è
Ventitre anni di guerra civile hanno cancellato in Afghanistan ogni traccia di sistema giuridico. Per capire come ripristinarlo, Massimo Papa, docente di diritto islamico dell’Università di Bologna, è stato in questa martoriata regione dell’Asia Centrale per cinquantacinque giorni. Dalle sue parole il racconto del viaggio appena concluso.
Ripristinare il sistema giuridico in un paese, l’Afghanistan, dopo ventitre anni di guerra civile è il progetto commissionato dalla Comunità Europea che vede impegnato, come esperto, Massimo Papa, docente di diritto islamico all’Università di Bologna. Abbiamo incontrato il professore di ritorno da un sopralluogo effettuato in compagnia di uno dei suoi studenti. Cinquantacinque giorni in quel dissestato paese, la cui ricostruzione passa attraverso la creazione di un sistema giuridico. Molte delle cose che ha visto non si dimenticano “come gli occhi dei bambini, dell’età dei miei figli, nell’ospedale di Emergency”.
Scopo del viaggio quello di capire come “investire un budget di 6 milioni di euro” per ripristinare il sistema giuridico in un paese con “ventitre anni di guerra civile sulle spalle”. Una situazione resa più complicata da mille ragioni, non ultima la presenza di diversi gruppi tribali e la corruzione dilagante tra i giudici. “Basti pensare – ci racconta il docente- che lo stipendio medio di un giudice è di 35-45 dollari al mese, gli stessi pressappoco che prende un autista delle organizzazioni non governative”.
La prima parte del viaggio è stata spesa per mettersi in contatto con le autorità afgane, le agenzie non governative e quelle internazionali. Lunghissima la lista dei ministeri (ce ne sono anche per gli affari tribali e per quelli religiosi), delle organizzazioni, delle autorità incontrate. “Alla fine – ammette – avevo le idee quanto meno confuse dalla mancanza di una strategia unitaria di coordinamento”.
Nella seconda parte del viaggio invece il professor Papa si è addentrato nei villaggi, per vedere come è applicata la giustizia e comprendere quello che effettivamente accade là, dove la situazione è diversa dalle città. In pratica sono in vigore tre tipi di diritti: quello dello stato, quello islamico e quello consuetudinario. A quest’ultimo, che, amministrato da assemblee di anziani, prevale lontano dalle città, sono da attribuire le punizioni più disumane. Prezzo del sangue, per esempio di un omicidio, pagato con un altro omicidio oppure con un matrimonio di scambio “molto diverso dal diritto islamico in cui la responsabilità penale è personale”. Insomma “qui lo stato non è presente. Lo è solo nelle aree urbane. Come si esce fuori tutto è in mano ai governatori, ai signori della guerra”.
L’analisi del pianeta giustizia non poteva lasciar fuori le carceri. “La situazione è pazzesca”, è il giudizio dell’esperto nominato dalla Commissione Europea. E racconta di celle di appena 3 metri, prive di riscaldamento a 2500 metri di altitudine, con 6 prigionieri per cella e senza distinzione di reato. Moltissime sono le donne, denunciate per abbandono del tetto coniugale, e ci sono anche un sacco di minori.
“Di fronte a tutto questo – conclude il professore – ho pensato a una strategia integrata in tre direzioni. Per prima cosa il recupero delle strutture fisiche, sia le corti di giustizia che in molti villaggi non c’erano neppure, sia le carceri. Poi gli alloggi e il training dei magistrati per garantirne l’indipendenza e la professionalità. Lo stesso per i mullà che spesso si trovano ad amministrare la giustizia. Per finire la creazione della consapevolezza dei diritti umani nella popolazione intera”. Sensibilizzazione che deve essere fatta attraverso mezzi di comunicazione in grado di raggiungere tutti. “Non basta la televisione. Solo il 35 % del territorio è coperto dai broadcaster televisivi. Le campagne di awareness devono passare anche attraverso mezzi come il cinema itinerante”. E ancora seminari e corsi di approfondimento itineranti che vedranno anche la partecipazione di studenti degli ultimi anni delle rinate università afgane. Tutte attività che, dopo lo studio della Commissione Europea, saranno portate avanti dalle Nazioni Unite a partire da aprile e che il prof. Papa sarà chiamato a monitorare.
A un compito molto importante poi sono chiamate anche le università. Per i primi giorni di giugno è in programma un convegno che sarà l’occasione per avviare cooperazioni tra le università afgane e quelle dei paesi europei.