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Individuati nuovi farmaci contro il cancro al seno e il neuroblastoma

Alla base del successo del lavoro congiunto di un gruppo di biologi dell’Università di Bologna e di medici australiani la scoperta del meccanismo, finora misterioso, con cui i due tumori bloccano la maturazione delle cellule colpite
Ricercatori

Inatteso salto in avanti nelle prospettive di cura del cancro al seno e del neuroblastoma, il più diffuso tumore dell’infanzia. Alcuni scienziati italiani, in collaborazione con dei colleghi australiani, hanno infatti individuato una famiglia di farmaci in grado di ripristinare il regolare sviluppo delle cellule malate e di bloccare così il progredire dei due tumori. Nel caso del neuroblastoma, che colpisce bambini nei primissimi anni di vita e raramente lascia scampo, si tratta della prima volta che si trovano farmaci efficaci contro il tumore.

Alla base del successo dei ricercatori la scoperta del meccanismo, finora misterioso, con cui i tumori bloccano la maturazione e inducono la proliferazione incontrollata delle cellule colpite.

Il sorprendente risultato, frutto del gioco di squadra tra i biologi dell’Università di Bologna e i medici del Sydney Children's Hospital, è descritto da Pnas, la rivista dell’Accademia delle scienze americana (insieme a Nature e Science una delle più autorevoli al mondo).

Il neuroblastoma è un cancro che colpisce il sistema nervoso periferico, vale a dire la rete delle diramazioni nervose del nostro corpo. "E’ un tumore ad alto tasso di mortalità – spiega Giovanni Perini, genetista dell’Università di Bologna - anche perché difficile da diagnosticare in tempo. Prima della nostra ricerca, sapevamo che era associato ad un’alta concentrazione di una proteina, la N-myc, che spinge le cellule nervose (neuroni) malate a proliferare eccessivamente. Nessuno però era ancora stato in grado di spiegare come facesse a bloccare pure la maturazione delle cellule colpite. Quello che abbiamo scoperto è che lo sviluppo dei neuroni, in realtà, è interrotto da un’altra proteina, la Hdac1, che entra in gioco come complice di N-myc. Questo è un processo che si osserva tale e quale anche nel cancro al seno e noi siamo riusciti a spiegarlo passo per passo. La buona notizia è che esistono già dei farmaci, come la tricostatina A o l’acido valproico, capaci di neutralizzare l’effetto della proteina Hdac1. Somministrando alcuni di questi farmaci a cellule tumorali in vitro, abbiamo infatti osservato che queste rallentavano la crescita e tornavano a maturare regolarmente. L’aver svelato il meccanismo con cui agisce Hdac1, inoltre, consentirà la messa a punto di farmaci più mirati, efficaci ed adeguati al trattamento terapeutico. Ovviamente prima di poterli utilizzare nelle terapie occorrerà seguire uno scrupoloso programma di test clinici".

La sperimentazione è stata per ora condotta in vitro nei laboratori dell’Università di Bologna, in vivo nei laboratori australiani, e i risultati sono sorretti dai dati clinici raccolti dagli oncologi di Sydney su una grande quantità di malati.

"Anche se i nostri studi si sono concentrati, al momento, solo sul neuroblastoma e sul cancro al seno – continua Perini - proteine simili a N-myc hanno un ruolo riconosciuto in circa il 60% dei tumori, e molti sono quelli in cui agiscono bloccando, in un modo ancora non chiaro, la maturazione delle cellule. Il sospetto, a questo punto legittimo, è che Hdac1 possa fungere da assistente cancerosa in una vasta gamma di tumori. Insomma, quello che abbiamo scoperto, oltre ad offrire nuove speranze di cura per il neuroblastoma e il cancro al seno, spinge la ricerca oncologica generale verso nuovi orizzonti ancora inesplorati".

La felice collaborazione tra gli scienziati dell’Università di Bologna guidati dal prof. Giovanni Perini e, all’estremità opposta del pianeta, i medici di Sydney guidati dal prof. Glenn Marshall è nata per caso, poco più di un anno fa. "Ci siamo conosciuti nel 2006 ad un meeting internazionale a Los Angeles – ricorda Perini -. Ci siamo accorti che i nostri dati sperimentali e i loro dati clinici convergevano e puntavano il dito contro la proteina Hdac1. Abbiamo deciso di avviare un progetto di ricerca comune e questi ne sono i frutti".

Il contributo scientifico italiano a questo studio è stato rilevante: il lavoro di sperimentazione molecolare è opera degli studiosi bolognesi. Non altrettanto si può dire del contributo economico. "Nonostante l’aiuto decisivo dell’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) – dice Perini - il budget di cui disponevamo era un trentesimo di quello degli australiani. Una grossa parte del nostro lavoro è stata svolta da un giovane e brillante ricercatore, Antonio Porro, che, come tanti suoi coetanei, lavora per 1.200 euro mensili, garantiti da un contratto a termine". Nulla di sorprendente, quindi, nel fatto che, a partire dall’anno prossimo, Porro, 28 anni e originario della provincia di Bari, si trasferirà a Losanna, in Svizzera. Un buon contratto di lavoro in tasca, programmi di ricerca con budget adeguati, e uno stipendio di 3.500 euro al mese.