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Il mal di Cina

Non esiste solo il mal d’Africa. Per il prof. Rocco Mazzeo il mal di Cina non è certo da meno. Gli studenti del master in "Studio, diagnosi e restauro del materiale archeologico" all’inizio della loro esperienza a Xi’an, la città dei guerrieri in terracotta, lui li aveva avvertiti: "quando sarà ora di andarvene, piangerete". E così è stato
Si è chiusa qualche settimana fa la 1^ edizione del master organizzato a Xian dall’Università di Bologna in collaborazione con l’Università di Xian Jiaotong e lo Xian Center for the Conservation of Cultural Property. Il Centro, nato negli anni 90 con lo scopo di formare i restauratori, gli scienziati che studiano i materiali e gli storici dell’arte, ha preso proprio l’Italia come modello. Due laboratori italiani famosi in tutto il mondo, in particolare, come l’Opificio delle pietre dure di Firenze e l’Istituto centrale per il restauro, fondato quest’ultimo, negli anni ’40, da Cesare Brandi. "Tre anni di lavori dal 95 al 98 – racconta Mazzeo chiamato allora dal Ministero degli Affari esteri per aiutare i cinesi a dare vita al Centro – e 6 miliardi di vecchie lire per un’attività pionieristica che ha permesso di formare 20 restauratori, 13 scienziati, 5 archeologi". E soprattutto di dotare il Centro di apparecchiatura necessaria e "sostenibile" con lo sviluppo della Cina. "Dal 98 poi, in un modo o nell’altro, questo Centro non l’ho più abbandonato – racconta Mazzeo –: prima con un incarico all’Unesco e poi sviluppando agreement scientifici con l’Università di Bologna.

Una delle più recenti esperienze in ordine di tempo è stata la creazione di un master che è partito a fine marzo di quest’anno e le cui attività si sono concluse a metà luglio. Vi hanno partecipato 10 studenti cinesi e 5 internazionali (di cui 3 italiani). "Grazie al contributo del Collegio di Cina, i 10 ragazzi cinesi hanno poi potuto effettuare in Italia lo stage, mentre quelli internazionali sono rimasti in Cina".

Qui da noi i cinesi hanno potuto studiare, grazie a campioni portati con sé, le policromie di templi mongoli della fine del ‘500, ma anche le ossa umane trattate nei laboratori di antropologia, le radiografie computerizzate o, ancora, prendere parte ad uno scavo archeologico a Brisighella.

Gli studenti internazionali invece hanno continuato a lavorare con il Centro di restauro di Xian (che si occupa di una area vasta come l’Europa) e in particolare hanno preso parte al restauro di 600 statue policrome in terracotta nel tempio Buddista di Shuilu’an.

Due settimane fa l’evento conclusivo con la consegna dei diplomi che l’ambasciatore Riccardo Sessa ha voluto ospitare. "Ne è nato un workshop in ambasciata, in collaborazione con l’Istituto italiano di cultura, che è stata un’occasione per parlare del contributo che scienza e tecnologia hanno dato alla conservazione e al restauro". La conclusione del master è stato un momento per mostrare esempi rappresentativi dell’applicazione di diverse metodologie scientifiche allo studio di opere d’arte (la Croce dipinta di Giotto, la Madonna del Cardellino di Raffaello, i dipinti murali di epoca Koguryo in Nord Corea, il busto marmoreo di Eleonora d’Aragona e diversi oggetti fossili di milioni di anni fa). Ma soprattutto ha aperto la strada a possibili attività di ricerca. "In particolare una call per i progetti Firb 2007 che se finanziati vedranno attività di studio e ricerca sui restauri di alcuni importanti edifici Ming a Pechino (la Città proibita, il Tempio celeste e il Palazzo d’estate) su cui l’Unesco, a maggio del 2007, ha chiesto una valutazione per gli interventi effettuati".

Accanto alla ricerca ovviamente proseguono le attività didattiche con il dottorato europeo e con i corsi triennali e magistrali a Ravenna, che dal 2009-10 saranno probabilmente in lingua inglese.