Emilio Calvano, professore di Economia politica al Dipartimento di Scienze Economiche
Tra le numerose conseguenze delle restrizioni adottate per fronteggiare l’emergenza coronavirus, una delle più immediate e pervasive è il deciso aumento degli acquisti online. Una trasformazione delle abitudini di spesa che ha coinvolto tutti i settori – dall’abbigliamento alla tecnologia fino agli alimentari – e che è destinata a consolidarsi anche nella fase post-pandemia. Il mercato digitale, soprattutto all’interno dei negozi virtuali più grandi e frequentati, nasconde però un’insidia che sta preoccupando molti esperti: gli algoritmi che decidono i prezzi dei prodotti.
Alimentati da sistemi di intelligenza artificiale, questi algoritmi controllano costantemente il mercato in cui operano con l’obiettivo di massimizzare i profitti. Ma secondo molti osservatori, invece di aumentare la concorrenza, la diffusione di questi sistemi automatizzati può generare tacite collusioni che portano all’aumento dei prezzi, danneggiando così i consumatori.
UniboMagazine ne ha parlato con Emilio Calvano, professore al Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna, che su questo tema ha appena pubblicato su Science un intervento firmato insieme ai colleghi dell’Alma Mater Vincenzo Denicolò e Sergio Pastorello, e da Giacomo Calzolari (European University Institute) e Joseph E. Harrington Jr. (University of Pennsylvania).
Professor Calvano, perché gli algoritmi che fissano i prezzi dei prodotti online possono essere pericolosi?
Il rischio è che questi algoritmi, che interagiscono in mercati reali e sono basati su sistemi di intelligenza artificiale, possano imparare in modo autonomo a colludere, aumentando i prezzi in modo concertato invece che competere tra loro.
Come può avvenire questa collusione?
Lo ha mostrato recentemente un progetto di ricerca nato proprio all’Università di Bologna: abbiamo addestrato alcuni algoritmi e ne abbiamo osservato l’interazione in un mercato virtuale. Dallo studio è emerso che anche sistemi relativamente semplici hanno una tendenza molto forte a convergere verso prezzi alti, che superano il livello competitivo, sostenuti da schemi di punizione e ricompensa tipici dei cartelli tra imprese.
Esistono però leggi antitrust pensate proprio per fermare questi comportamenti anticoncorrenziali.
Le regolamentazioni antitrust attuali si basano sulla rilevazione di accordi tra rappresentanti delle aziende coinvolte: è necessario quindi provare che ci siano state comunicazioni e scambi al fine di colludere. Gli algoritmi che controllano i prezzi, però, imparano a colludere analizzando il contesto e reagendo rapidamente agli stimoli esterni, senza dialogare tra loro: questo limita notevolmente l’efficacia delle leggi attuali.
Cosa si può fare allora per proteggere i consumatori?
L’alternativa che proponiamo è focalizzare l’attenzione su come gli algoritmi modificano i prezzi dei prodotti: analizzando i movimenti dei prezzi è possibile individuare comportamenti collusivi. E osservando questi comportamenti è possibile ricostruire le strategie adottate dagli algoritmi. A quel punto si può pensare di rendere illegali alcune tipologie di algoritmi oppure di rendere le imprese legalmente responsabili per le strategie di controllo dei prezzi adottate dagli algoritmi che utilizzano.
Serviranno quindi dei controlli preventivi.
Certamente: nel nostro intervento esortiamo la comunità scientifica a proseguire con le sperimentazioni “in vitro” di questi sistemi alimentati da intelligenza artificiale. In un certo senso, si tratta di considerare gli algoritmi come se fossero dei farmaci. I loro possibili “effetti collaterali” potrebbero danneggiare gravemente i nostri mercati e più in generale la società, per cui andrebbero testati accuratamente prima di essere diffusi.