La crisi climatica interagisce con movimenti migratori preesistenti e tradizionali, e con l'aggravarsi dei suoi impatti la vita e i mezzi di sussistenza di molte popolazioni diventano sempre più insostenibili. È una delle principali conclusioni di una nuova ricerca realizzata da studiosi dell'Università di Bologna nell'ambito di #ClimateOfChange, la campagna di comunicazione europea guidata da WeWorld e cofinanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma DEAR (Development Education and Awareness Raising Programme).
L'iniziativa mira a sviluppare la consapevolezza dei giovani cittadini e cittadine dell'Unione Europea sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni e coinvolgerli per creare un movimento pronto, non solo a cambiare il proprio stile di vita, ma anche a sostenere la giustizia climatica globale.
La ricerca - intitolata "Oltre il panico? Esplorare le mobilità climatiche in Senegal, Guatemala, Cambogia e Kenya" - è stata realizzata attingendo a prospettive sociologiche, agricole e dei sistemi alimentari, umano-geografiche e giuridiche, in collaborazione con organizzazioni partner sul campo, nell’impossibilità di visitare i paesi oggetto dei casi di studio a causa della pandemia di COVID-19.
Il rapporto sottolinea come la crisi climatica ha forti conseguenze sulla vita quotidiana dei partecipanti allo studio nei quattro presi in esame. Tuttavia, questa forza non è puramente "naturale": generata dall’azione dell’uomo, si intreccia infatti con fattori strutturali politici, economici e culturali che ne peggiorano l’impatto sulla vita di ogni giorno. Il rapporto, frutto di una rigorosa ricerca sociale, restituisce un’esperienza "immersiva", in ragione dei racconti, di veri e propri "diari climatici" degli abitanti dei paesi coinvolti, grazie ai quali si dà voce alle persone che subiscono sulla propria pelle gli effetti di inondazioni, siccità, tsunami, erosione delle coste.
L’impatto negativo sul clima delle attività umane deriva dalla gestione inadeguata o dall’uso eccessivo delle risorse naturali che porta alla deforestazione (disboscamento illegale in Cambogia e Guatemala), alla desertificazione (in Senegal e Kenya) e alla distruzione degli ecosistemi, come quello legato alle foreste di mangrovie vicino alla costa senegalese. La pesca in Senegal è devastata dalla crisi climatica, ma anche dalla pessima gestione dei rifiuti, l’inquinamento e l’ocean grabbing (lo sfruttamento indiscriminato dell’oceano e delle sue risorse, a detrimento delle popolazioni locali). Le inondazioni in Cambogia sono causate sia da piogge irregolari, sia da una crescente intensità, ma anche da infrastrutture scadenti incapaci di rispondere alle nuove sfide che il cambiamento climatico produce e da progetti di sbarramento a valle del fiume Mekong.
Il cambiamento climatico può essere inteso quindi come un moltiplicatore di vulnerabilità preesistenti, come povertà, mancanza di risorse e insicurezza alimentare, che interagiscono e si influenzano a vicenda.
Il team dell’Università di Bologna che partecipa a #ClimateOfChange coinvolge studiosi di quattro dipartimenti: il professor Pierluigi Musarò (coordinatore) e l’assegnista di ricerca Elena Giacomelli per il Dipartimento di sociologia e diritto all’economia; il professor Matteo Vittuari e l’assegnista di ricerca Elisa Iori per il Dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentali; il professor Marco Borraccetti e l’assegnista di ricerca Susanna Villani per il Dipartimento di scienze politiche e sociali; la professoressa Elisa Magnani e l’assegnista di ricerca Sarah Walker per il Dipartimento di storia, culture, civiltà.