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Non abbiamo abbastanza parole per descrivere le nostre emozioni

Non solo le sei emozioni "universali" – gioia, tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa e paura – non sono sufficienti a descrivere le nostre esperienze emozionali, spesso complesse e sfumate, ma avere a disposizione un vocabolario più ricco può anche aiutarci a capire meglio e a controllare quello che proviamo


Gli strumenti che abbiamo per catalogare e definire le emozioni umane non sono sufficienti a descrivere la complessità di quello che proviamo nelle nostre esperienze quotidiane. Servono modelli nuovi, più dettagliati e specifici, anche per aiutare i sistemi di intelligenza artificiale a riconoscere in modo più preciso le reazioni umane.

Sono le conclusioni del lavoro di un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna, dell’Università degli Studi di Messina e dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR (CNR-ISTC), che ha voluto testare i limiti dei tradizionali modelli di catalogazione delle emozioni. I risultati – pubblicati su Scientific Reports – mostrano che le persone sono spesso in disaccordo tra loro nel descrivere emozioni complesse a partire da quelle che sono categorie "universali" come gioia, tristezza o sorpresa.

"La nostra vita quotidiana è intrisa di esperienze emozionali complesse e sfumate, che si intrecciano con il nostro mondo interiore e l’interazione con l’esterno, e per questo non possono essere facilmente catalogate", spiega Chiara Lucifora, ricercatrice al Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. "I risultati della nostra ricerca confermano quanto sia importante indagare le emozioni nel loro contesto naturale, esplorando il legame intricato tra esperienze emozionali e l’ambiente che ci circonda".

Uno dei modelli più noti di catalogazione delle emozioni è quello definito dallo psicologo Paul Ekman, che a partire dalle descrizioni delle espressioni facciali umane ha individuato sei "emozioni universali": gioia, tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa e paura. Ci sono però anche approcci opposti, secondo cui le emozioni non possono essere "universali": ogni persona costruisce le proprie esperienze emozionali, plasmate dalle sue personali vicende.

Gli studiosi hanno quindi indagato questi diversi modelli, chiedendo a un campione di più di cento persone di descrivere una serie di esperienze emozionali complesse: da un lato utilizzando una serie di opzioni definite a partire dalla catalogazione "universale" di Ekman, e dall’altro attraverso una serie di nuove etichette che descrivono emozioni "indefinite". In questo secondo caso, lo spunto nasce dal "Dictionary of Obscure Sorrows" di John Koenig: un dizionario di parole inventate per definire specifiche esperienze emozionali, ad esempio l’ambigua intensità del contatto visivo ("opia"), oppure la nostalgia per un tempo che non si è mai conosciuto ("anemoia").

"I risultati del nostro test mostrano non solo che le categorie tradizionali non sono sufficienti a descrivere la specificità delle emozioni umane, ma anche che avere a disposizione un maggior numero di parole per definire nel dettaglio quello che proviamo può aiutarci a capire meglio e a controllare le nostre emozioni", dice Lucifora. "Riuscire a catalogare in modo granulare le nostre esperienze emozionali ci dà infatti il potere sia di accentuare le emozioni positive che di attenuare quelle negative".

Un fenomeno che viene confermato anche guardando il comportamento delle persone affette da alessitimia: una condizione che rende difficile riconoscere le emozioni. Gli studiosi hanno infatti notato che queste persone, nel descrivere esperienze emozionali complesse tendono ad utilizzare un vocabolario più limitato, rifugiandosi spesso nelle categorie delle emozioni "universali".

I risultati ottenuti, inoltre, offrono indicazioni per lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale, che oggi nel cercare di riconoscere le emozioni umane utilizzano spesso ancora le tradizionali categorie di gioia, tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa e paura.

"In molti casi, i modelli utilizzati oggi dai sistemi di intelligenza artificiale non hanno abbastanza elementi per descrivere esperienze emozionali complesse", dice Aldo Gangemi, professore al Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Università di Bologna e Direttore dell'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (CNR) di Roma. "Per questo stiamo lavorando alla creazione di grafi di conoscenza che, applicati mediante sistemi di intelligenza artificiale neuro-simbolica, permettano di definire specifici modelli emotivi".

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports con il titolo "Experiments on real-life emotions challenge Ekman's model". Gli autori sono Sara Coppini (Università di Bologna), Chiara Lucifora (Università di Bologna, CNR-ISTC), Carmelo M. Vicario (Università degli Studi di Messina) e Aldo Gangemi (Università di Bologna, CNR-ISTC).