Un team di ricercatori coordinato dall’Università di Bologna è riuscito a ricostruire aspetti della vita, dello sviluppo e dell’ascendenza genetica di un neonato vissuto durante l’Età del Rame, i cui resti fortemente degradati sono stati scoperti a Faenza, nell’Italia nord-orientale. Lo studio “Reconstructing Life History and Ancestry from poorly preserved skeletal remains: A Bioanthropological study of a Copper Age Infant from Faenza (RA, Italy)”, pubblicato sul Journal of Archaeological Science, dimostra il grande potenziale dell’integrazione di tecniche avanzate come l’istologia dentale, l’analisi degli elementi in traccia, la paleoproteomica, la datazione radiocarbonica e il DNA antico.
Lo studio riflette un’ampia collaborazione internazionale che ha coinvolto ricercatori di nove istituzioni: Università di Bologna, Sapienza Università di Roma, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Università di Modena e Reggio Emilia, Goethe Universität Frankfurt, Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, Università del Salento, Università di Padova e il Ministero della Cultura italiano.
“I resti scheletrici mal conservati sono spesso ignorati nella ricerca antropologica, a causa della bassa qualità diagnostica degli elementi ossei che compromette significativamente la nostra capacità di formulare ipotesi accurate sulla vita degli individui del passato” - afferma Owen Alexander Higgins, primo autore dello studio e assegnista di ricerca del Dipartimento di Beni culturali Unibo - “La nostra ricerca, tuttavia, dimostra che anche materiali osteologici estremamente degradati possono conservare informazioni importanti se analizzati con metodologie all’avanguardia".
Nonostante l’estrema frammentarietà dello scheletro – ridotto a corone dentarie e piccoli frammenti ossei – i ricercatori sono riusciti a stimare con notevole precisione l’età alla morte del neonato (circa 74 settimane, ovvero 17 mesi) e a determinarne il sesso maschile grazie ad analisi sia paleoproteomiche sia genomiche.
L’analisi istologica ad alta risoluzione dello smalto dentale ha fornito dettagliate informazioni sui primi anni di sviluppo dell’individuo, contestualizzate rispetto ai modelli di crescita noti nelle popolazioni umane presenti e del passato. In aggiunta, “l’analisi del DNA antico effettuata su un frammento osseo dell’infante ha permesso di identificare un raro aplogruppo mitocondriale (V+@72) per l’Italia eneolitica, offrendo nuove prospettive sull’ascendenza materna in quel periodo – una questione ancora poco esplorata per la penisola italiana” aggiunge il dott. Francesco Fontani, co-primo nome dell’articolo.
Il Professor Stefano Benazzi del Dipartimento di Beni culturali Unibo, autore senior dello studio e responsabile del Laboratorio di Osteoarcheologia e Paleoantropologia dell’Università di Bologna, ha sottolineato l’importanza più ampia della ricerca: "Questo lavoro dimostra come anche resti fortemente compromessi possano restituire preziose informazioni sulle storie di vita del passato, se analizzati attraverso una strategia bioarcheologica integrata".
I resti sono stati rinvenuti durante uno scavo archeologico preventivo a Faenza, con il supporto delle imprese Impresa Edile Santucci Costruzioni S.r.l. e Gruppo Ritmo S.r.l. Sebbene le analisi osteologiche tradizionali siano risultate limitate dallo stato di conservazione, l’utilizzo combinato di tecniche come la Laser Ablation-ICPMS, lo studio microstrutturale dello smalto dentale e le analisi genomiche ha permesso di ricostruire diversi aspetti biografici fondamentali del neonato.
I risultati sottolineano il valore delle metodologie multidisciplinari nelle scienze archeologiche e contribuiscono ai più recenti approcci osteobiografici, che mirano a restituire dignità e individualità a persone del passato, le cui storie e origini rischierebbero altrimenti di restare sconosciute.